La Giornata contro la violenza sulle donne è un momento di riflessione fondamentale nella nostra società. Come ogni ricorrenza, il 25 novembre ha un peso notevole nel sensibilizzare l’intera popolazione sull’argomento, oltre che nel ricordare le vittime e nello sviluppare dinamiche che portino al confronto sul passato, sul presente e sul futuro, nella speranza di poter migliorare sensibilmente la condizione delle donne di tutto il mondo in tutti gli ambiti, da quelli sociali a quelli lavorativi passando, ovviamente, per quelli personali.
Tante sono infatti le problematiche socio-culturali presenti nelle società contemporanee nei confronti delle donne. Di violenza si può e si deve parlare sia per quel che riguarda la violenza fisica, dal femminicidio allo stupro, dalle molestie sul luogo di lavoro a quelle in famiglia, ma anche dal punto di vista psicologico: dal catcalling allo slut-shaming, dalla sessualizzazione del corpo femminile fino alle discriminazioni in ambito scolastico, universitario, lavorativo. La diseguaglianza retributiva è violenza sulle donne, così come l’assenza femminile nelle maggiori cariche professionali.
Il fallimento della millantata uguaglianza meritocratica è evidente e nessun ambito ne è al di fuori. Dal cinema alla politica, dall’economia allo sport, mancano figure femminili nei ruoli principali, manca parità di stipendi, mancano leggi che tutelino le donne. Per chi come me studia le narrazioni, è evidente che anche nel panorama artistico le discriminazioni sono enormi: i personaggi femminili, nella letteratura, nella televisione e nel cinema, sono stati sempre numericamente inferiori, qualitativamente meno studiati e facilmente soggetti allo stereotipo.
Non possiamo smettere di parlarne, di discuterne, di studiare, di informarci, perché le situazioni così problematiche non si risolvono da sole. Gli enormi progressi nella storia delle donne sono dovute alle battaglie di persone coraggiose, dagli scioperi e le manifestazioni delle suffragette a quelli del ’68, da Stonewall e i Pride che hanno sancito i moti di rivoluzione queer, fino al movimento #MeToo, che ha fatto scoppiare il sistema misogino e molestatore dell’industria cinematografica mondiale e ha portato all’incarcerazione del più ricco e potente produttore nordamericano del secolo, quel lurido d Harvey Weinstein.
Violenza nei dati
In questa ricerca, datata 2018 e realizzata dal Ministero della Giustizia italiano, i dati che emergono sono inquietanti. Fra il 2012 ed il 2016 si contavano 774 femminicidi, in media 154 donne uccise all’anno per il loro genere, praticamente un’azione di omicidio misogino ogni due giorni. In questo 2020 già 91 donne italiane sono state uccise. In questo prospetto dell’Istat, relativo agli anni 2013-2016, su un campione di donne interrogate sulla violenza sessuale sul posto di lavoro, il 7,5% delle interpellate ha subito molestie, ricatti sessuali, e di queste, a seguito di rifiuti a richieste di prestazione sessuale, l’11% è stato licenziato o non assunto.

Valori per 100mila donne riportati dall’Istat riguardanti l’omicidio volontario di donne nel 2018 da parte dei partner nell’Unione Europea.
Come migliorare la situazione?
Spesso chi mi è vicino mi dice che la prima cosa da fare è cambiare la mentalità delle persone. La necessità di sensibilizzare la popolazione tutta, di far sentire coinvolta la popolazione tutta, è fondamentale nel processo che deve portare all’uguaglianza effettiva, perché là si deve arrivare, e non si può smettere di lottare finché tutte le donne del mondo non avranno avuto pari accesso all’istruzione, finché non sarà posta fine all’infibulazione, ai matrimoni forzati, alla cultura dello stupro, ai ricatti sessuali sul luogo di lavoro, alla violenza nei confronti delle proprie partner.
Innanzitutto, attraverso l’attivismo politico e l’istruzione, con la formazione di una coscienza civile e sociale. Bisogna far sì che le donne abbiano maggior rappresentanza in tutti i campi, a partire proprio dalla politica. Bisogna contrastare sistematicamente l’oggettivazione del corpo femminile, denunciare il cat calling, togliere alle grandi multinazionali la possibilità di speculare su un’immagine prototipica della donna, sostenere la donna stessa nel non sentirsi colpevole per la violenza subìta, denunciare le violenze di cui siamo testimoni, rispettare i tempi e le modalità di racconto delle violenze.
L’educazione sin dall’infanzia al rispetto e all’uguaglianza sono fondamentali come base di partenza. Soprattutto, è necessario insegnare ai ragazzi ad abbandonare le prepotenze, il sessismo sia nelle parole che negli atti, l’arroganza di credersi superiori a metà della popolazione sulla base del proprio genere e il giudizio sulle donne in base al loro modo di presentarsi. Libertà e rappresentazione per le donne, abbattimento della cultura dello stupro e del fallocentrismo.