Nella notte fra il 27 ed il 28 giugno del 1969 allo Stonewall Inn di New York, uno dei primi locali per uomini gay ad aprire anche ai transessuali, alle transessuali e alle drag queen, partì la rivoluzione che portò alla nascita dei moti di liberazione per la comunità LGBTQ+ e il cui anniversario diede origine ai Pride, che tutti gli anni (tranne questo) sono un momento di ricordo ma soprattutto di unione e festa. Nelle ultime settimane il movimento Black Lives Matter ha spinto decine di migliaia di persone negli States a scendere in piazza a protestare contro la violenza razzista della polizia bianca nord-americana. Anche il genitore del Pride, quel giugno di 51 anni fa, fu una rivoluzione contro la polizia, che non si faceva scrupoli a fare retate in locali come lo Stonewall e arrestare gruppi di persone perché formati da membri della comunità LGBTQ+.
Il Pride serve a mantenere la memoria di ciò per cui per interi decenni attivist* di tutto il pianeta hanno lottato : uguaglianza, fine della discriminazione, dell’odio, dell’omo-bi-trans-fobia. La forma di discriminazione a cui vanno incontro le persone LGBTQ+ è molto varia, e sempre tremenda, ma una delle cose che ritengo fondamentali allo sviluppo di un mondo di accettazione della diversità è il fatto che queste discriminazioni siano state e siano tuttora combattute come un unico nemico da fronteggiare. Finché tutt* ci impegneremo ad adoperare la nostra empatia, la nostra capacità di immedesimarci nel dolore altrui, di combattere affinché tutt* possiamo essere realmente liberi di essere chi siamo senza incorrere in violenze di alcun genere, allora la battaglia sarà giusta e avrà serie possibilità di essere vinta.
Penso spesso al fatto che nel mondo ci sia molta paura e molto odio nei confronti della comunità LGBTQ+: se è vero che nell’ultimo mezzo secolo sono stati fatti enormi progressi sotto tanti punti di vista, dall’altro non riesco ad essere propriamente positivo nel vedere tutto quello che ancora c’è da conquistare. Conquista è la parola giusta, perché tutto quello che la comunità ha raggiunto è stato ottenuto con la lotta, con l’evoluzione dovuta allo sforzo di coloro che non si sono arres* agli stereotipi, ai doppi standard, all’omofobia, alla misoginia, alla trans-fobia, alla derisione, alla violenza fisica e psicologica.
Nel 2020, non mi stancherò mai di dirlo, possiamo comunicare da un angolo all’altro del mondo, possiamo attraversare l’oceano in poche ore, possiamo studiare i corpi celesti con sonde ma non abbiamo ancora una legge che condanni l’omo-bi-trans-fobia, non abbiamo ancora un vero matrimonio egualitario, non c’è la possibilità di adozione, né è stato minimamente scalfito il sistema culturale che supporta la supremazia eterosessuale, costringe le persone ad avere paura a fare coming out.
Tuttavia, voglio anche ricordare che grazie a Marsha P..Johnson, a Sylvia Rivera e a molte altre splendide personalità, ci sono stati miglioramenti, c’è stato un parziale cambiamento culturale, è stata raggiunta una maggior libertà, una maggiore coesione, un senso di protezione dovuto anche all’aver creato spazi LGBTQ+ free come il Pride o associazioni apposite che aiutano l* ragazz* ad affrontare i problemi che può comportare essere gay, bisex o trans, dall’essere sbattut* fuori di casa all’essere soggetti di bullismo o violenza.
Il fatto che nel mondo dello spettacolo ci sia molta più visibilità nei confronti della comunità Queer è una conquista recente e preziosissima: per quanto io non guardi RuPaul Drag Race e non ammiri come persona la conduttrice televisiva Ellen DeGeneres, è fondamentale che una donna lesbica possa condurre uno dei più seguiti show degli States, così come che una competizione di Drag Queen sia una hit internazionale e abbia vinto 6 Emmy Awards. Così come è fondamentale avere artisti e artiste pansessuali, come Janelle Monaé e Brendon Urie, bisessuali, come Demi Lovato e Miley Cyrus, o gay, come Matt Bomer e Ian McEllen. Fino a trent’anni fa una cosa del genere era assai rara, purtroppo.

Pride significa orgoglio, Gay gioia, e se l’etimologia ogni tanto avesse qualche spicchio di verità, si capirebbe bene come sia necessario ribadire, ogni momento possibile, che si deve essere orgoglios* di quello che si è, che si deve vivere la nostra vita cercando di raggiungere la più completa felicità e che si deve continuare a marciare, parlare, educare e protestare affinché quel mondo che fino a 52 anni fa sembrava utopia diventi un giorno, a tutti gli effetti, realtà.